Stefano Guglielmin, nel blog che cura (Blanc de ta nuque) ha pubbicato una recensione che apprezzo molto, per toni, analisi e profondità umana. Una critica che mi ha fatto riflettere. Ecco la prima parte della recensione: “E’ un raccontarsi sapendo di stare sospesi sul vuoto il nuovo libro, omonimo, di Gabriel Del Sarto (Transeuropa 2011). Una sospensione metafisica, vissuta stando dentro un’auto, spesso, o nel «tiepido limbo» di una stanza, grembi dai quali osservare il mondo, per cercare tracce capaci di sfidare l’attimo, che esile fugge anche in mezzo a segni familiari, d’apparente pienezza. L’interrogare e lo sguardo di Del Sarto sono montaliani, ma quanto gli si para davanti in quell’aria di vetro, s’infittisce all’inverosimile, diventando inventario, catalogo del superfluo quotidiano e mercantile, un pessimo gusto al quale s’è rassegnato: sguardo post-crepuscolare, il suo, che all’ironia sente più consona la malinconia o forse, come in Tarkovskij, la nostalghia dell’origine, della vescica prenatale, uscendo dalla quale non trova che spigoli, un «vuoto» ostile, appunto, un’impermanenza alleviabile con le carezze dell’amore, dei ricordi, delle epifanie in cui micro e macrocosmo si incontrano in un abbraccio semplice. Come quando un riflesso di sé balena nell’insegna di un supermercato, o altri sincronismi che suggeriscono, ma non garantiscono, l’esistenza di una mente ordinatrice, forse divina.”
Qui è possibile leggere il testo completo.