I viali: teleologia e dialettica. Lettura di Dimitri Milleri

Qui riporto le parole di Dimitri Milleri che, nella sua nota di lettura per Poesia del nostro tempo, individua alcune nervature importanti, non solo per la prima raccolta. Qui il testo originale

L’eternità e il tempo

Non medietà, non compromesso ma relazione: se per Gabriel Del Sarto nella sua poesia la tensione cristica è onnipresente ma appesa al filo della volontà etico-iniziatica del soggetto,2 possiamo leggere le poesie de I viali (Atelier 2003), la sua prima raccolta organica, come il luogo del rinnovamento sudato di questa volontà: «Considera la saliva / la bava del vecchio Giobbe […] cosa se non la più grande speranza, / quest’impensabile diritto: disperare?».3

Quest’impegno, oltre che nei testi più espressamente teologici, si dispiega attraverso il panorama tradizionale dei temi lirici, a volte combinati a volte più indipendenti: il riconoscimento panteistico di Dio nell’esterno (Un picnic vicino ai castagni, Vidas vivas, Figure…), il Tu-istiuto come totalmente altro a cui votarsi (Il giardino, Mille oceani, Confessione…), la rimemorazione come risemantizzazione della propria storia (Cacao dolce e fragole, Tramandare…), il rapporto con gli affetti come continua sottoscrizione all’amore (I lavori a maglia, Departure is painful…).

L’esperienza, o: l’osservatorio della grazia

Il radicamento di Del Sarto al proprio esperito dà vita a una toponomastica circoscritta, come rilevato da Baldi,4 concentrata su Ronchi e i suoi dintorni versiliesi, che sono l’habitat dei movimenti naturali e antropologici di questo teatro creaturale. È infatti molto frequente il riferimento implicito o esplicito al tempo e alla sua direzionalità, che drammatizza la visione del soggetto: quest’ultimo si trova dunque a gestire una gnome passibile di essere contraddetta e corretta, anche in uno stesso testo, dal dipanarsi della percezione.

A volte questa dialettica risultante dalla continuità dell’attenzione dà vita a delle sottili palinodie: in L’allegria delle case5 la deità riesce a permeare anche i pori dell’architettura residenziale, che può contenere qualcosa che «somiglia alla vera felicità», contrapposta allo stato del parlante separato dal Tu: «Esposto, il mio dolore a notte fonda / è la tivù accesa su niente». Il fronteggiarsi del dolore interno con la felicità esterna, però – data la visione del mondo che informa l’opera – non può che essere una fluttuazione momentanea di una grazia onnicomprensiva e, ancora una volta, mai persa davvero, solo dislocata: «Assume allegria l’inanimato, l’allegria / leggera che non abbiamo più».

La certezza e il vacillamento

Il dubbio, in quest’opera, a mio parare si può leggere proprio nei momenti più lirico-vocativi, quasi fossero compensativi: «A volte, a sera, parlo, con risvolti poco pubblicabili / di quegli anni, più spesso nel silenzio / ne assaporo un gusto: cacao dolce e fragole»;6 «Oh tenera impermeabile argilla, cosa porre / in rilievo / come confessare senza mentire?».7 Questi passaggi, contratti o emendati nella versione dei testi che si legge nella recente auto-antologia Tenere insieme (Samuele Editore – La gialla Pordenonelegge 2021), fanno parte di una liricità formalmente ricca, minimizzata nelle prove successive (Sul vuoto, Transeuropa 2011; Il grande innocente, Nino Aragno Editore 2017) insieme alle anteposizioni aggettivali e alle rime-cerniera.

L’antologia segna infatti un riassestamento delle tre opere di Del Sarto nel segno classico della sottrazione. Nei libri successivi lo spazio di manovra per la rivelazione è più ristretto (anche linguisticamente), e proprio per questo più alta la posta in gioco. Già ne I viali però si intravedeva un interesse verso la ricerca di una forma sufficientemente essenziale da assicurare la credibilità testimoniale della poesia, comune ad autori anche molto distanti: Dal Bianco, Fiori, Benedetti, Mazzoni… Quest’ultimo, prefatore dell’esordio di Del Sarto nel VI Quaderno della Marcos y Marcos, ne coglieva appunto la volontà di fare sul serio, puntare al sublime non in quanto stile, ma in quanto «condizione di autenticità, l’idea di vivere in un mondo non abbandonato dal senso».8

Gabriel e Giobbe

La figura biblica di Giobbe, che apre con quella di Gabriel9 il libro,10 ritorna nel testo I lavori a maglia come punto di riferimento esistenziale. Giobbe era già stato identificato da Kirkegaard come una figura cardinale nel contesto dell’esistenzialismo religioso, per la sua capacità di tenere salda la fiducia verso il fine di Dio, e quindi agirlo fattualmente, senza arrogarsi il diritto di giudicarne l’operato con parametri umani e, anzi, amando Dio anche quando è tentatore.11

La sfida più difficile per Giobbe è quella di non rinnegare la propria nascita e di imparare a morire al momento giusto secondo la volontà divina, superando la sua disperazione: «Perisca il giorno in cui nacqui e la notte in cui si disse: “È stato concepito un maschio!”».12 Anche per il Gabriel autore de I viali questa potrebbe essere la sfida definitiva, il senso del senso, o almeno così sembrerebbe dal testo conclusivo dell’opera, in cui la morte viene svuotata della sua tragicità e vissuta come parte di ogni momento. Il testo in questione, non a caso, è isolato in una sezione a sé stante e ha come titolo Blessed:

[…]
desidero solo
che si espanda la stessa cura
domani e nei giorni che saranno,
[…]
e un vento tenue respiro
verso la morte.

GabrielAuthor