Sul Vuoto è un titolo aperto. Una riflessione in merito alla natura del vuoto e anche un viaggio in bilico, come su un filo teso sull’abisso. In questo senso va letta anche la citazione in esergo di Emerson: “Non esiste, propriamente, la storia. Esiste soltanto la biografia.” Tutte le biografie, infatti, camminano su questo filo. La stratificazione che, ai miei occhi, contraddistingue il vuoto, mi impedisce uno sguardo comprensivo. Riesco a darne solo letture parziali e punti vista ogni volta diversi.
Mi è però possibile ricavarne una lettura narrativa. Questa lettura è fondata su una delle metafore più trite della letteratura: quella del “viaggio”. Un viaggio nel vuoto, ma sopratutto “sul” vuoto. Innanzitutto: quale vuoto? Beh, la risposta non è semplice perché il vuoto stesso subisce un mutamento di segno durante il percorso che l’individuo protagonista del libro compie. Nella prima e nella seconda sezione è presente un vuoto che nasce da dati sensibili, come un asfalto umido, un citofono grigio, i sacchetti della spesa o una folla di palazzi anonimi di una periferia. Un testo esemplare di questa parte di libro, nel quale l’io minimo, voce di una biografia occidentale qualsiasi, racconta il vuoto come freddo della città o come assenza di una comunità è “Certe sere”:
Certe sere
Come vengono i pensieri senza sapere
altro che l’immagine di noi. Come
ci avvicinano – e ne coltiviamo la presenza
che è quello che conta oggi, stasera,
dopo la corsa sui viali, incrociando la fretta
dei ritorni, la follia di una città
che vivo da poco, il freddo che sento
nella folla dei palazzi e nel tratto
sceso dall’auto fino alla tua porta.
Queste luci serali però sono vita
si insinuano
col vento nelle maniche quando penso
che molti hanno passato vite
e famiglie qui, consumato e atteso
sere come questa
in un altro appartamento.
È tardi
e la vista del citofono grigio
è un segno che rende
te più reale, come la stanchezza
che avvolge i desideri e i gesti.
Essere qui, conoscere l’attesa di un calore
domestico, una luce buona, qualche
abitudine appresa da poco – non so tu
ma ci sono domande così chiare
da restare senza risposta, e mi confondo
nell’attesa
che una voce superiore rompa i limiti
dei commenti, delle spiegazioni parziali,
adesso, in una casa in affitto, provvisoria
e troppo cara.
Il ronzio del frigo, l’insalata
mista nei piatti, le vicissitudini del giorno
restano fa noi, si mescolano
ai gesti e ai corpi, e non so se sai
che comprendo la normalità di tutto questo
solo adesso, e che non mi basta.
Nel cuore del libro ho pensato a lungo se inserire la parte poematica, quindi più narrativa, della raccolta. Si tratta del poemetto Meridiano Ovest nel quale si racconta il cammino di questo uomo dentro ad un venerdì notte versiliese, fra locali e incontri fugaci, fino a un sabato mattina, stordito o forse illuminante. L’epifania finale del poemetto spacca in due il libro. Uno dei momenti più significativi del poemetto è il VI dei nove “movimenti”:
VI
L’amore a ovest della A12 corre
parallelo all’inquietudine della costa
immerso nell’organismo lucente
delle città disperse nella notte. E qui tenere
una nuova conversazione con fatica,
lei vicina che non sa chi sei, cosa
porti di te in quest’auto, nel momento
in cui scandisci le sillabe e i gesti.
Altrove ho parlato di me, e ho questi silenzi.
Collisioni, monete, vite passano
come riflessi sparsi della luce azzurra
dell’insegna al neon che bolle dentro
le pozzanghere, e la pioggia sui tetti
di lamiera delle auto. Sono qui,
con l’alcool colorato e mescolato,
e siamo due che ridono quasi
felici, lei quasi senza un nome.
E sentiamo questo vento fra gli alberi
dopo il temporale, l’odore sfatto
di molte cose unite dalla pioggia
e dal buio, mani grida e atomi – guardo
le nuvole che variano, i richiami,
i giorni in queste lontananze
e qualcuno quando esce dal locale
è lo spessore stanco di un ritorno a casa,
un rumore di passi bagnati sulla ghiaia.
Nella quarta sezione il protagonista di questo percorso riesce a trovare lo spazio di un dia-logo. Un io solo che si incontra con un altro io. Il primo passo verso la possibilità della fiducia. In questa sezione entrano altre voci, maschili e femminili. Le tante vite di coppia, potrei dire. Che tutte sperimentano, in modi diversi, il vuoto che le minaccia, ma che anche le può rigenerare. La vita di coppia non salva, ma il dialogo spezza la solitudine. In questa sezione ci sono poesie in serie, e in una di queste piccole serie, intitolata Pensieri fra loro, entrano in dialogo voci maschili e femminili. I numeri dispari sono voci maschili i pari femminili. Perché solo le donne possono pareggiare il conto. Ho cercato di condensare tante possibili storie in 7 brevi momenti.:
Pensieri fra loro
I
Stasera, per quanto l’insoddisfazione
di vivere non sia solo tua, soltanto questa pioggia
ci poteva condensare
in una telefonata esplorativa, sulla cena
e sul senso di colpa. Dopo il solito
incrocio vuoto dopo la serie
delle concessionarie d’auto, i lampioni
in fila, quel senso sbiadito di un brivido
mentre toglievo il cappotto
e la luce della cucina,
che ci coglie ogni volta impreparati.
II
Lì, in quel punto della scala dove
di solito mi passavi le chiavi dell’unica
auto, ogni giorno c’è come una lama, o forse
qualcosa di diverso da un rimpianto.
III
Osservavo il mondo come da un quadro, i profili
di carriera erano linee che si confondevano
ogni volta che mi cercavi ogni notte quando
mi chiedevi perché noi due – lo strato
di cera sul legno levigato dei mobili. L’aereo del lunedì,
all’alba poi rendeva tutto più semplice e offuscato.
IV
Prima nella bocca, credo, e dopo ovunque
invasa come da un sangue. Nella casa silenziosa
mi sono mossa, come una stanza riaperta
solo una volta, come una creatura
pensata, senza voce.
V
Abbraccio e abito, e altri monologhi: pur essendo
vissuti in questi luoghi, il resto non è dato,
le cose, i tuoi diuturni rancori, le mani
e l’ora della mattina, quel treno
di notte verso Parigi dopo il saluto
si mescolano nel ricordo
della tua lingua così settentrionale
e cittadina. Non rivederti o rivederti
con altri, senza che io abbia saputo includere
nell’addio uno spazio in cui la vita non si muove.
VI
Una notte come questa, di questa
metropoli, nel caldo
felpato delle stanze: potremmo
essere ovunque, forse con un figlio. Come siamo
noi, in questo silenzio, ascoltando il lieve
fruscio dell’acqua nei radiatori centralizzati,
i respiri – i miei, i tuoi
VII
e quando bevo con calma, la notte,
nel salotto tutto bianco,
sono felice, come sopra una collina
tranquilla, nel colmo di una tempesta
universale, che si porta via il tuo bicchiere
e, qualche volta, gli occhi dal tuo volto.
La quinta sezione segna il passaggio dall’io-tu all’io-noi. Le nostre periferie-mondi sono abitate da micro comunità che condividono, più di quello che percepiamo, destini e orizzonti poco liberi. In questi mondi accadono, da sempre, quelle epifanie degli affetti che possono ricostruire oltre alla fiducia una possibile, lenta, speranza. Tutto accadde nel vuoto delle periferie, grazie a quel vuoto, che è a questo punto del libro percepito come alfa e omega, coincidenza della fine e del nuovo inizio, morte e creazione insieme. Ascoltare la complessità della vita affettiva, i suoi abissi e le sue ricchezze, è la tappa del viaggio che in questa sezione viene raccontata. Ne cito due testi, che parlano della donna e di un figlio:
Livelli
Lo vedo, quell’albero. E vedo
te, oggi, in questa luce di una stagione successiva.
La fluidità delle chiome in un vento
mutevole.
Quello che passa è solo una rappresentazione
e questi sono i cambiamenti
della gente comune, le cose che si fanno
per non essere niente.
Ho un passato, lo distinguo. Ho il resto
di una mia verità, le faccende quotidiane, uguali.
Vedo tutto questo: la parte bianca
dei tuoi occhi socchiusi, colpiti
da un sole obliquo e pulito, a pelo
dell’erba, che sa esistere ora, in questo non decifrabile
ora, sottovoce, sottovento,
fra i fili mossi e le foglie accese
da una morte fastosa – ora – semplicemente
confondersi col marmo più freddo.
Perfect Timing
Le zanzare, l’umido dei fossi, il verde quasi
blu di una sera come questa, a fine
estate, sollevata dal mondo. Ancora mi chiedi
di quel colpo di rimbalzo, come si fa
se è il polso.
Nel pomeriggio, io e te,
al tavolo del circolo, il tè freddo,
la terra rossa che cerchia le caviglie. Qui
molto – i gesti coordinati, le geometrie
dell’impatto – parla d’altro, e spesso
c’è un silenzio elegante. Siamo stati così, seduti
e sudati, a lungo. Mi hai sorriso spesso.
È stato quando con lo sguardo basso hai colpito
un paio di volte la suola – presto
mi batterai, lo sappiamo entrambi – e a piccole
strisce sfarinate la terra ha colorato
l’impiantito. Come una sosta dipinta
fra le altre della nostra vita. Ho mancato
alcune parole a voce bassa. Generazione.
Hai detto «vado» e senza più guardarmi
sei sparito, oltre la soglia dello spogliatoio.
Il finale della storia, di una storia come questa che si muove ‘sul vuoto’, non può che essere un finale aperto, senza certezze. La sezione ultima contiene una sola poesia, secondo lo schema che già ho utilizzato nel primo libro, che condensa il significato e rilancia una visione del mondo. In questa poesia, che si intitola non a caso Il senso, parto dal dialogo con i morti e le loro storie (in questo caso una nonna, grande narratrice), per definire i limiti della mia riflessione sul vuoto e quali aperture mi ha consegnato:
Il senso
Il senso era qui, luminoso
e perduto, nell’attenzione improvvisa
dei tuoi occhi mentre mi parlavi
di lui, del tuo sognare la sua morte
mentre accadeva. Eri qui. Lo sguardo
su te ora è sul vuoto e quella sedia
è come morte, altra morte ancora.
Siamo questa speranza
trafitta dalla cenere dopo la luce
di un gesto, come se avesse questa tua pazienza
ogni storia, o differenza, che sapevi
e raccontavi: così ascoltare era come
assaporare il tessuto che mi lega
al dolore di un padre e di un figlio.
Il resto, le guerre, è lontano da qui
e viviamo in un mondo ovvio,
che non si cura di noi, e lo chiamiamo
casa. Ma anche stasera dopo il pasto dopo
il cartone animato, i popcorn caramellati,
soffrire fonda la serietà della vita. Sono
gli infiniti che si raccolgono
nel sonno dei miei figli, sonde e respiri.
E non so quale notte poi,
dolce e infinita forse, è la forma
del racconto che da oggi ti comprende.
Se quel vento è intimità che salva.